domenica 20 ottobre 2024

Bruciare.

È bizzarro che la reaction imposta da Instagram su qualsiasi contenuto sia un tenero cuoricino.
Quello è uno screenshot di un video che lunedì 14 ottobre, alle 8:25 circa, mi ha rallegrato la giornata. In fondo, che vuoi fare mentre aspetti il fabbro? Apri instagram.
"Vediamo cosa hanno bombardato stanotte".

Lui stava bruciando vivo in un letto, si agitava mentre era avvolto dalle fiamme, perchè Israele aveva deciso di bombardare un ospedale (dentro cui pare ci fosse un temibile terrorista) a fianco a cui c'era una tendopoli di povericristi sfollati. Sfollati provenienti da altre zone che erano state a loro volta rase al suolo. Lui dormiva tranquillo, era notte, si è svegliato nel fuoco e ci è morto, perchè nessuno riusciva ad avvicinarsi per spegnere le fiamme o a tirarlo via per salvarlo. Avrebbe compiuto 20 anni qualche giorno dopo, pare si chiamasse Shaban, che studiasse ingegneria (prima che qualcuno radesse al suolo la sua Università a Gaza), che avesse creato una raccolta fondi per riuscire ad evacuare con la propria famiglia in Egitto.
Sia lui che la madre sono morti bruciati vivi.
Ma sono solo 2 dei tanti morti di quel giorno. E di quello precedente o del successivo. Così come di oggi e di 365 giorni fa.
Insomma, quello è uno dei tanti modi per morire a Gaza, o in Cisgiordania e adesso pure in Libano: la differenza è se c'è o meno qualcuno con un telefonino in mano a riprenderti mentre crepi.

Quella stessa sera, al TG di La7, parlavano dell'accaduto. Mentana, non potendo trasmettere le immagini integrali, si limitava a raccontare cosa fosse successo, anticipandolo con un "tutti saprete", "tutti avrete sentito", consigliando al pubblico di NON vedere le immagini e i video che circolavano sui social. Non sia mai che il pubblico rimanesse sconvolto.
Mentana, cosa stracazzo dici, per Dio.
Così si muore lì. Solo guardando alcune scene risvegli le coscienze.
Valeva con la foto della bambina vietnamita, ustionata per il napalm, che urlante correva nuda e con le braccia alzate.
Valeva con la foto del tizio cinese sconosciuto, con le buste della spesa in mano, che fermò una colonna di carri armati il giorno dopo il massacro in piazza Tienanmen, semplicemente fermandosi al centro della strada.
Se quelli della mia generazione sono rimasti segnati dall'11 settembre 2001 è perchè hanno visto due minchia di aerei schiantarsi sulle Torri Gemelle da ogni prospettiva, perchè hanno visto la gente buttarsi dalle finestre di un grattacielo piuttosto che crepare bruciata viva o intossicata dal fumo. La foto "L'uomo che cade" immortala uno di quei povericristi che ha fatto quella scelta.
Le cazzo delle atrocità accadono ogni giorno e scegliere di non guardarle non le fa "accadere di meno" o in maniera meno atroce. Dietro ai numeri dei morti, ci sono quei morti. Dietro ai numeri dei feriti, ci sono persone di qualunque età (bambini soprattutto) senza almeno un braccio o una gamba, amputati in molti casi senza anestesia. Noi qui invece siamo abituati a dire "ahia" anche se ci schiacciano un brufolo.
Al momento io sto con un dito fratturato e qualsiasi azione mi sembra eroica. E si tratta del mignolo della mano sinistra, il più inutile delle dieci. Che cazzo di vita potrà mai avere un bambino che ha perso entrambe le braccia? "Ferito" è un aggettivo di merda. Come se fosse una "bua" al braccio, che disinfetti, metti il cerotto e sticazzi.
Quindi, in questo fantastico mondo del non-visto in tv, accade che le persone brucino vive, che i bambini vengano trovati decapitati o col cranio aperto e svuotato, che dalle macerie di un palazzo ciondolino, appesi ad una trave, brandelli sfilacciati con un paio di gambe e forse qualche organo dell'addome.
Succede che ciò che resta degli esseri umani, dopo un'esplosione, venga preso in pezzetti e chiuso in buste di plastica. Dentro ad uno questi sacchi ho visto il viso di una persona: nel senso che c'era la sua faccia flaccida (bocca, naso e occhi aperti), ma non c'era un cranio o alcun supporto osseo su cui tutto questo fosse poggiato o adeso. Praticamente una maschera.
Ho visto la foto di una scarpa per terra: niente di strano se non fosse che dentro c'era un piede, tranciato chirurgicamente a livello della caviglia. Vai a capire se apparteneva ad un morto o ad un banale ferito.
Li volete vedere? Ho gli screenshot pure di quelli.
Succede pure che un padre vada a registrare la nascita delle proprie due figlie gemelle, e rientrato nella propria abitazione la trovi distrutta con moglie e figlie sepolte dalle macerie. Morte, ovviamente.

Comunque... Quella stessa mattina della foto in alto, il caso ha voluto che indossassi una t-shirt con una stampa scelta da me. Dopo mesi in cui quasi nessuno l'aveva vista, viene notata dall'occhio attento di uno dei miei responsabili/colleghi, che per pietà chiamerò Come si chiama, a quanto pare noto per posizioni filo-israeliane/militaresche/Vannacci-like.
"Che sta scritto?", mi chiede.
"Free Palestine", rispondo.
Apriti cielo. Come si chiama si gira verso di me e si ferma. Davanti a me. Mi fissa. Gli giro intorno per andare altrove e lui ruota il suo corpo continuandomi a fissare. Col sorrisetto di chi è stupito e deluso allo stesso tempo. Guarda la t-shirt e guarda me.
A quel punto, di fronte a quella faccia di cazzo che mi fissava, rielaboro al volo una traduzione meno foggiana del più idoneo "Che cazz vù?":
"Che? Ormai è un macello là", dico.
Letteralmente inteso.
La risposta è stata molto a tema:
"Tu il macello ce l'hai in testa"
Da quel giorno mi chiama "Palestina libera". Che è sicuramente meglio di maestro o ingegnere con cui era solito richiamare la mia attenzione sarcasticamente.
E poi ho quasi immediatamente ripensato ad un episodio di 5-6 mesi prima. Ogni tanto mi tornava in mente, ma non riuscivo a contestualizzarlo. Credo sia sempre merito di quel non-visto, di quell'arrogante presunzione di detenere la verità, in cui nulla è mai messo in discussione, in cui non c'è spazio per il beneficio del dubbio. Accadeva durante un concerto, in cui era presente un amico di Come si chiama, che con commiserazione chiamerò Coglione.
Coglione si mostrò infastidito dagli appelli per il cessate il fuoco provenienti dal palco e dal fatto che durante quell'evento si sventolassero bandiere della Palestina. Per cui disse, cercando la mia approvazione:
"Ecco, a me queste cose danno fastidio. E se io non fossi d'accordo? Io voglio solo vedere il concerto. In fondo, se ad Israele non gli rompi il cazzo, se ne sta per cazzi suoi. Ma se gli rompi il cazzo, lui giustamente ti punisce."
Non volendo intavolare una discussione con Coglione, mi limitai a dire:
"Vedi che, in Cisgiordania, Israele sta facendo la merda da anni. E dalla Cisgiordania nessuno gli ha ancora cagato il cazzo."
"Ma tutta quella zona prima apparteneva a loro, e quindi ti punisce.", rispose.
Il concerto era più interessante del dialogo con Coglione. Mi sono limitato a pensare che forse la fonte storica di queste coglionate poteva essere nel migliore dei casi il Vecchio Testamento, in cui si narrano storie di 4000 anni fa. Storie di terre promesse e popoli eletti.
Che poi... Eletti da chi? Promesse da chi?
Ah, già, Dio. Il mio, il tuo o il suo?
Più o meno come se l'Italia rivendicasse terre a cazzo, dal Portogallo alla Turchia, considerato che un giorno facevano parte dell'Impero Romano.
Lo vuoi un attico ad Istanbul, la vecchia Costantinopoli, con affaccio sul Bosforo? Andiamo a bullizzare e a cagare il cazzo ad un poverocristo dicendogli che casa sua mi appartiene, perchè è sulla terra dei miei avi. Armati di fucile gli entriamo nel giardino, lo minacciamo, gli tiriamo le pietre, lo prendiamo a bastonate mentre raccoglie le olive nel suo terreno, magari lo obblighiamo ad andarsene e ci prendiamo illegalmente la sua terra. Magari nel frattempo gli neghiamo pure l'accesso all'acqua o gli distruggiamo le strade con i bulldozer rendendogli impossibili gli spostamenti. Oppure, cazzo ne so, in mezzo alla loro campagna ci costruiamo una bella autostrada per collegare i nostri villaggi illegali, proibendo agli stessi proprietari di quei terreni di metterci piede all'interno. Poi c'è sempre la soluzione finale: se qualcuno reagisce e per me si mette male, lo accoppo. Perchè a quel punto ci sarà, paradossalmente, anche l'esercito del mio paese a proteggere me dai miei stessi crimini. Ma potrei sempre farlo arrestare e in maniera tale che venga incarcerato per mesi senza accuse. Magari in carcere ci muore lo stesso, e magari me ne sbatto pure di restituire il cadavere alla famiglia.

Ecco la Cisgiordania in pillole.
Bello giudicare senza immedesimarsi. Senza guardare. Vorrei vedere quelle stesse persone, così fieramente detentrici di certezze, se accetterebbero con la stessa filosofia una restrizione totale delle proprie libertà e diritti fondamentali.

In fondo, anche tu, Libano: hai cagato il cazzo ad Israele? Lui ti fa esplodere 1500 cercapersone senza preavviso in mezzo a gente innocente.
Adoro il concetto di "attentato terroristico" molto variabile, a seconda degli attori in gioco.
Questo accadeva prima di iniziare a demolire palazzi e quartieri interi. Tanto l'importante è diffondere un avviso di evacuazione: poi cazzi tuoi se scegli di non abbandonare casa tua, perchè magari è una delle poche cose che hai.

E infine anche tu, ONU: mi rompi il cazzo se hai schierato le tue truppe di pace dove io, Israele, devo radere al suolo tutto. Cazzi tuoi, ONU, se stai in mezzo mentre sparo in un altro stato che, a tuo dire, pullula di terroristi.
Perchè si sa, "ad Israele non devi rompere il cazzo."

L'ha detto Coglione.
L'amico di Come si chiama.

domenica 14 gennaio 2024

100 giorni. Di Instagram. A Gaza.

Ho visto crani di persone esplosi. Senza cervello. Il cui viso non esisteva più al di sopra del naso.
Ho visto parti di cadaveri. Genitori abbracciare metà del corpo dei propri figli, magari quella superiore. Ma che potevano ritenersi fortunati rispetto a quelli che ho visto portarsi dietro un piede, o un braccio, o una mano del proprio figlio o genitore. Ad alcuni era rimasto solo un lembo di carne.
Ho visto un padre entrare in ospedale con un paio di buste della spesa, insanguinate, con dentro i pezzi dei propri due figli. I pezzi.
Ho visto persone, anche bambini, raccogliere dalle macerie brandelli di carne e organi, per farne un fagotto ed imbustarli per poi seppellirli.
Letteralmente pezzi-di-esseri-umani. Come quando in macelleria stai scegliendo il taglio migliore da mettere nel ragù, ma con un po’ di terra sopra.
Ho visto bustoni bianchi allineati, di tutte le misure, accatastati davanti agli ospedali e nelle fosse comuni.
Metà di quei bustoni erano di poche decine di centimetri e contenevano pericolosissimi bambini che qualcuno dice fossero terroristi.
Ho visto radere al suolo quartieri residenziali interi con esplosioni che credevo esistessero solo nei film. Abitazioni smembrate sulle cui macerie poco dopo la gente si affollava in ciabatte e a mani nude per spostare pietre e lastroni di cemento, alla ricerca di corpi martoriati da salvare o seppellire.
Gente che evidentemente grattava la superficie di quelle macerie, perché dove cazzo vuoi andare in ciabatte e a mani nude.
Pensate cosa si mette in moto nel resto del mondo civilizzato quando crolla un palazzo. Uno solo.
Qua si parla di svariate decine di migliaia di edifici, in 100 giorni.
Sotto quei lastroni ho visto gente immobile di cui si scorgevano solo i piedi. A volte, 3-4 coppie di piedi vicine. Allineate.
Ho visto anche persone che da quei lastroni ne sbucavano fuori con tutto il corpo, eccetto la testa. E ho visto quelle stesse persone, esanimi, estratte dal peso di quei lastroni. Trascinate via, col cranio deformato. Allungato.
Ho visto bombardare accampamenti di rifugiati, in fuga verso zone definite “sicure”, che invece a loro volta venivano bombardate, o proiettili vaganti delle dimensioni di una palla da rugby cadere sullo spiazzale antistante un ospedale e letteralmente tranciare la gamba di un poverocristo che stava forse andando a dormire nella tenda che gli era stata fornita come riparo. Non ferire, ho scritto “tranciare”, amputare.
Ho trascorso 100 giorni assuefacendomi a video che avessero la presenza costante di un rumore di sottofondo, una sorta di vuvuzela h24 nel cielo, che altro non era che il suono dei droni israeliani con lo scopo di sorvegliare l’intera area alla ricerca del punto successivo da bombardare. Che magari poteva essere proprio il tuo luogo di riparo notturno.
Ho visto l’esecuzione di una serie di persone inermi, bambini inclusi, ad opera di cecchini e carri armati.
Ho visto cadaveri carbonizzati dissolversi al vento e al più lieve contatto, altri assumere pose innaturali sull’asfalto, nel sangue, dopo l’ennesimo raid sulla folla.
Ho visto genitori disperati, fermi sulle macerie della propria abitazione, sotto cui erano sicuramente morti un numero indefinibile dei propri famigliari.
Ho visto un numero incalcolabile di bambini morti, dilaniati, feriti, mutilati, terrorizzati, imbustati, accatastati.
Ho visto un numero inaccettabile di giornalisti e paramedici uccisi, mentre svolgevano il proprio lavoro. Anche sulle ambulanze.
Ho visto scuole, università, ospedali, moschee secolari… rasi al suolo.
Ho visto gente abbeverarsi raccogliendo l’acqua dalle pozzanghere fangose o bevendo l’acqua di mare.
Ho visto camion frigo per gelati pieni di cadaveri.
Ho visto ospedali pediatrici evacuati con la forza da giorni, all’interno di cui i bambini nelle incubatrici erano stati forzatamente lasciati a morire… e a putrefarsi.
Ah, ho visto anche strade invase da cadaveri in putrefazione.
Ho visto scene di comuni cittadini armati, travestiti da esercito, occupare illegalmente i territori e le case di povera gente inerme che stava a farsi i cazzi propri, ma che improvvisamente veniva sparata, uccisa, torturata, picchiata, insultata, presa a sassate, costretta a vivere reclusa in casa e ad accettare che le sue proprietà venissero vandalizzate, distrutte, saccheggiate, espropriate.
Ho visto telegiornali parlare di un ostaggio israeliano di 86 anni, morto durante un raid israeliano in un ospedale di Gaza in cui il vecchio era stato ricoverato per essere assistito. Un servizio (troppo) lungo che ci spiegava chi fosse il vecchio, per informarci che quindi c’era stata una vittima collaterale israeliana, non voluta. Per poi concludere il tutto con un accenno di circa 5 secondi che diceva qualcosa del tipo “nel raid sono morti anche 20 palestinesi, fra cui 7 bambini”. E capisci che c’è qualcosa che non va nella narrazione. Perché il vecchio è una persona. Gli altri sono solo numeri, senza volto, senza storia e senza nome. Che diventano notizia solo perché hanno avuto la fortuna di crepare contestualmente ad un vecchio di 86 anni.

Sto omettendo tante cose di quelle che ho visto... Potrei dire che mi hanno fatto raggelare il sangue i due reportage di Francesca Mannocchi su La7, a Propaganda Live (si trovano in rete, eh…), in cui parlava di Gaza e di quella prigione a cielo aperto denominata Cisgiordania, e in cui erano facilmente intuibili le radici di Hamas…
E che se ognuno di noi avesse vissuto dalla nascita quello che hanno vissuto e stanno vivendo loro, posso con certezza dire che non staremmo nemmeno a porci il problema se sia giusto o meno usare la violenza, come forma di reazione e resistenza.
Semplicemente non avremmo avuto altre opzioni.

Questo è stato il mio Instagram, a cui mi ero finalmente iscritto a settembre per seguire comici, fumettisti e cazzate varie. Un social che per anni ho volutamente ignorato, considerandolo un grosso scatolone di contenuti non-sense o (a mio parere) privi di alcun interesse, luogo di arricchimento economico di persone senza talento, in cui mettere foto di cose da mangiare o dei viaggi fatti o consigli sul come fare cosa.
Ora mi trovo a seguire in buona parte dei ragazzi palestinesi sconosciuti. O meglio, sconosciuti fino a qualche mese fa. Ora uno di loro è seguito da 18 milioni di persone. Ogni giorno apro Instagram sperando che siano ancora vivi, considerando che uno ad uno stanno morendo tutti i loro colleghi e affetti.
E la maggior parte di loro sono ragazzi di 20-25 anni, con una laurea alle spalle, e che avrebbero fatto volentieri altro nella vita rispetto a documentare l’orrore o tentare di superare incolumi la notte.

“Beh, che ne pensi di Instagram?”, mi hanno chiesto.

Finchè non censura foto e video o molto democraticamente blocca profili senza alcuna ragione, direi che è utile, che è l’aggettivo che meno mi sarei immaginato di dare a settembre.
Perché, se non ci fosse stato, non avrei visto nulla di tutto questo. Non saprei cos’è una guerra. O meglio, cos’è un massacro e un genocidio. E ammesso che tu sia arrivato a leggere fino a qui, io potrò solo averti fatto immaginare alcune scene.
Ma fidati… “Immaginare” è una cosa che forse dimenticherai entro 15 minuti da ora. “Vedere” è altra roba, e ti resta appiccicato addosso quel tanto che basta per domandarti cosa cazzo ci sia stato da festeggiare a Natale. Non posso invece neanche lontanamente intuire cosa invece significhi “viverle”, certe cose.

Ora potrò dire che io sapevo, che ho visto, e che non l’ho accettato.
Diversamente da 80 anni fa, nessuno domani o fra altri 80 anni potrà dire “non potevo saperlo”, perché adesso è tutto su un cazzo di telefonino, a disposizione di chiunque, ed è tutta una questione di scelte: scelta di vedere, di ignorare, di capire, di opporsi, di condannare o sostenere.
Ognuno fa la sua, legittimamente, secondo coscienza. Ma domani non potremo essere messi tutti nello stesso calderone di quelli che se ne sono sbattuti il cazzo.
A scuola ci hanno fatto studiare la storia sui libri. Questo è un pezzo di storia che si può guardare in diretta.


A young girl stuck under her house rubble after it was bombed by Israeli airstrikes, Al Nusairat refugee camp, Oct. 31.
Motaz Azaiza
TIME’s Top 100 Photos of 2023