domenica 14 gennaio 2024

100 giorni. Di Instagram. A Gaza.

Ho visto crani di persone esplosi. Senza cervello. Il cui viso non esisteva più al di sopra del naso.
Ho visto parti di cadaveri. Genitori abbracciare metà del corpo dei propri figli, magari quella superiore. Ma che potevano ritenersi fortunati rispetto a quelli che ho visto portarsi dietro un piede, o un braccio, o una mano del proprio figlio o genitore. Ad alcuni era rimasto solo un lembo di carne.
Ho visto un padre entrare in ospedale con un paio di buste della spesa, insanguinate, con dentro i pezzi dei propri due figli. I pezzi.
Ho visto persone, anche bambini, raccogliere dalle macerie brandelli di carne e organi, per farne un fagotto ed imbustarli per poi seppellirli.
Letteralmente pezzi-di-esseri-umani. Come quando in macelleria stai scegliendo il taglio migliore da mettere nel ragù, ma con un po’ di terra sopra.
Ho visto bustoni bianchi allineati, di tutte le misure, accatastati davanti agli ospedali e nelle fosse comuni.
Metà di quei bustoni erano di poche decine di centimetri e contenevano pericolosissimi bambini che qualcuno dice fossero terroristi.
Ho visto radere al suolo quartieri residenziali interi con esplosioni che credevo esistessero solo nei film. Abitazioni smembrate sulle cui macerie poco dopo la gente si affollava in ciabatte e a mani nude per spostare pietre e lastroni di cemento, alla ricerca di corpi martoriati da salvare o seppellire.
Gente che evidentemente grattava la superficie di quelle macerie, perché dove cazzo vuoi andare in ciabatte e a mani nude.
Pensate cosa si mette in moto nel resto del mondo civilizzato quando crolla un palazzo. Uno solo.
Qua si parla di svariate decine di migliaia di edifici, in 100 giorni.
Sotto quei lastroni ho visto gente immobile di cui si scorgevano solo i piedi. A volte, 3-4 coppie di piedi vicine. Allineate.
Ho visto anche persone che da quei lastroni ne sbucavano fuori con tutto il corpo, eccetto la testa. E ho visto quelle stesse persone, esanimi, estratte dal peso di quei lastroni. Trascinate via, col cranio deformato. Allungato.
Ho visto bombardare accampamenti di rifugiati, in fuga verso zone definite “sicure”, che invece a loro volta venivano bombardate, o proiettili vaganti delle dimensioni di una palla da rugby cadere sullo spiazzale antistante un ospedale e letteralmente tranciare la gamba di un poverocristo che stava forse andando a dormire nella tenda che gli era stata fornita come riparo. Non ferire, ho scritto “tranciare”, amputare.
Ho trascorso 100 giorni assuefacendomi a video che avessero la presenza costante di un rumore di sottofondo, una sorta di vuvuzela h24 nel cielo, che altro non era che il suono dei droni israeliani con lo scopo di sorvegliare l’intera area alla ricerca del punto successivo da bombardare. Che magari poteva essere proprio il tuo luogo di riparo notturno.
Ho visto l’esecuzione di una serie di persone inermi, bambini inclusi, ad opera di cecchini e carri armati.
Ho visto cadaveri carbonizzati dissolversi al vento e al più lieve contatto, altri assumere pose innaturali sull’asfalto, nel sangue, dopo l’ennesimo raid sulla folla.
Ho visto genitori disperati, fermi sulle macerie della propria abitazione, sotto cui erano sicuramente morti un numero indefinibile dei propri famigliari.
Ho visto un numero incalcolabile di bambini morti, dilaniati, feriti, mutilati, terrorizzati, imbustati, accatastati.
Ho visto un numero inaccettabile di giornalisti e paramedici uccisi, mentre svolgevano il proprio lavoro. Anche sulle ambulanze.
Ho visto scuole, università, ospedali, moschee secolari… rasi al suolo.
Ho visto gente abbeverarsi raccogliendo l’acqua dalle pozzanghere fangose o bevendo l’acqua di mare.
Ho visto camion frigo per gelati pieni di cadaveri.
Ho visto ospedali pediatrici evacuati con la forza da giorni, all’interno di cui i bambini nelle incubatrici erano stati forzatamente lasciati a morire… e a putrefarsi.
Ah, ho visto anche strade invase da cadaveri in putrefazione.
Ho visto scene di comuni cittadini armati, travestiti da esercito, occupare illegalmente i territori e le case di povera gente inerme che stava a farsi i cazzi propri, ma che improvvisamente veniva sparata, uccisa, torturata, picchiata, insultata, presa a sassate, costretta a vivere reclusa in casa e ad accettare che le sue proprietà venissero vandalizzate, distrutte, saccheggiate, espropriate.
Ho visto telegiornali parlare di un ostaggio israeliano di 86 anni, morto durante un raid israeliano in un ospedale di Gaza in cui il vecchio era stato ricoverato per essere assistito. Un servizio (troppo) lungo che ci spiegava chi fosse il vecchio, per informarci che quindi c’era stata una vittima collaterale israeliana, non voluta. Per poi concludere il tutto con un accenno di circa 5 secondi che diceva qualcosa del tipo “nel raid sono morti anche 20 palestinesi, fra cui 7 bambini”. E capisci che c’è qualcosa che non va nella narrazione. Perché il vecchio è una persona. Gli altri sono solo numeri, senza volto, senza storia e senza nome. Che diventano notizia solo perché hanno avuto la fortuna di crepare contestualmente ad un vecchio di 86 anni.

Sto omettendo tante cose di quelle che ho visto... Potrei dire che mi hanno fatto raggelare il sangue i due reportage di Francesca Mannocchi su La7, a Propaganda Live (si trovano in rete, eh…), in cui parlava di Gaza e di quella prigione a cielo aperto denominata Cisgiordania, e in cui erano facilmente intuibili le radici di Hamas…
E che se ognuno di noi avesse vissuto dalla nascita quello che hanno vissuto e stanno vivendo loro, posso con certezza dire che non staremmo nemmeno a porci il problema se sia giusto o meno usare la violenza, come forma di reazione e resistenza.
Semplicemente non avremmo avuto altre opzioni.

Questo è stato il mio Instagram, a cui mi ero finalmente iscritto a settembre per seguire comici, fumettisti e cazzate varie. Un social che per anni ho volutamente ignorato, considerandolo un grosso scatolone di contenuti non-sense o (a mio parere) privi di alcun interesse, luogo di arricchimento economico di persone senza talento, in cui mettere foto di cose da mangiare o dei viaggi fatti o consigli sul come fare cosa.
Ora mi trovo a seguire in buona parte dei ragazzi palestinesi sconosciuti. O meglio, sconosciuti fino a qualche mese fa. Ora uno di loro è seguito da 18 milioni di persone. Ogni giorno apro Instagram sperando che siano ancora vivi, considerando che uno ad uno stanno morendo tutti i loro colleghi e affetti.
E la maggior parte di loro sono ragazzi di 20-25 anni, con una laurea alle spalle, e che avrebbero fatto volentieri altro nella vita rispetto a documentare l’orrore o tentare di superare incolumi la notte.

“Beh, che ne pensi di Instagram?”, mi hanno chiesto.

Finchè non censura foto e video o molto democraticamente blocca profili senza alcuna ragione, direi che è utile, che è l’aggettivo che meno mi sarei immaginato di dare a settembre.
Perché, se non ci fosse stato, non avrei visto nulla di tutto questo. Non saprei cos’è una guerra. O meglio, cos’è un massacro e un genocidio. E ammesso che tu sia arrivato a leggere fino a qui, io potrò solo averti fatto immaginare alcune scene.
Ma fidati… “Immaginare” è una cosa che forse dimenticherai entro 15 minuti da ora. “Vedere” è altra roba, e ti resta appiccicato addosso quel tanto che basta per domandarti cosa cazzo ci sia stato da festeggiare a Natale. Non posso invece neanche lontanamente intuire cosa invece significhi “viverle”, certe cose.

Ora potrò dire che io sapevo, che ho visto, e che non l’ho accettato.
Diversamente da 80 anni fa, nessuno domani o fra altri 80 anni potrà dire “non potevo saperlo”, perché adesso è tutto su un cazzo di telefonino, a disposizione di chiunque, ed è tutta una questione di scelte: scelta di vedere, di ignorare, di capire, di opporsi, di condannare o sostenere.
Ognuno fa la sua, legittimamente, secondo coscienza. Ma domani non potremo essere messi tutti nello stesso calderone di quelli che se ne sono sbattuti il cazzo.
A scuola ci hanno fatto studiare la storia sui libri. Questo è un pezzo di storia che si può guardare in diretta.


A young girl stuck under her house rubble after it was bombed by Israeli airstrikes, Al Nusairat refugee camp, Oct. 31.
Motaz Azaiza
TIME’s Top 100 Photos of 2023