domenica 14 gennaio 2024

100 giorni. Di Instagram. A Gaza.

Ho visto crani di persone esplosi. Senza cervello. Il cui viso non esisteva più al di sopra del naso.
Ho visto parti di cadaveri. Genitori abbracciare metà del corpo dei propri figli, magari quella superiore. Ma che potevano ritenersi fortunati rispetto a quelli che ho visto portarsi dietro un piede, o un braccio, o una mano del proprio figlio o genitore. Ad alcuni era rimasto solo un lembo di carne.
Ho visto un padre entrare in ospedale con un paio di buste della spesa, insanguinate, con dentro i pezzi dei propri due figli. I pezzi.
Ho visto persone, anche bambini, raccogliere dalle macerie brandelli di carne e organi, per farne un fagotto ed imbustarli per poi seppellirli.
Letteralmente pezzi-di-esseri-umani. Come quando in macelleria stai scegliendo il taglio migliore da mettere nel ragù, ma con un po’ di terra sopra.
Ho visto bustoni bianchi allineati, di tutte le misure, accatastati davanti agli ospedali e nelle fosse comuni.
Metà di quei bustoni erano di poche decine di centimetri e contenevano pericolosissimi bambini che qualcuno dice fossero terroristi.
Ho visto radere al suolo quartieri residenziali interi con esplosioni che credevo esistessero solo nei film. Abitazioni smembrate sulle cui macerie poco dopo la gente si affollava in ciabatte e a mani nude per spostare pietre e lastroni di cemento, alla ricerca di corpi martoriati da salvare o seppellire.
Gente che evidentemente grattava la superficie di quelle macerie, perché dove cazzo vuoi andare in ciabatte e a mani nude.
Pensate cosa si mette in moto nel resto del mondo civilizzato quando crolla un palazzo. Uno solo.
Qua si parla di svariate decine di migliaia di edifici, in 100 giorni.
Sotto quei lastroni ho visto gente immobile di cui si scorgevano solo i piedi. A volte, 3-4 coppie di piedi vicine. Allineate.
Ho visto anche persone che da quei lastroni ne sbucavano fuori con tutto il corpo, eccetto la testa. E ho visto quelle stesse persone, esanimi, estratte dal peso di quei lastroni. Trascinate via, col cranio deformato. Allungato.
Ho visto bombardare accampamenti di rifugiati, in fuga verso zone definite “sicure”, che invece a loro volta venivano bombardate, o proiettili vaganti delle dimensioni di una palla da rugby cadere sullo spiazzale antistante un ospedale e letteralmente tranciare la gamba di un poverocristo che stava forse andando a dormire nella tenda che gli era stata fornita come riparo. Non ferire, ho scritto “tranciare”, amputare.
Ho trascorso 100 giorni assuefacendomi a video che avessero la presenza costante di un rumore di sottofondo, una sorta di vuvuzela h24 nel cielo, che altro non era che il suono dei droni israeliani con lo scopo di sorvegliare l’intera area alla ricerca del punto successivo da bombardare. Che magari poteva essere proprio il tuo luogo di riparo notturno.
Ho visto l’esecuzione di una serie di persone inermi, bambini inclusi, ad opera di cecchini e carri armati.
Ho visto cadaveri carbonizzati dissolversi al vento e al più lieve contatto, altri assumere pose innaturali sull’asfalto, nel sangue, dopo l’ennesimo raid sulla folla.
Ho visto genitori disperati, fermi sulle macerie della propria abitazione, sotto cui erano sicuramente morti un numero indefinibile dei propri famigliari.
Ho visto un numero incalcolabile di bambini morti, dilaniati, feriti, mutilati, terrorizzati, imbustati, accatastati.
Ho visto un numero inaccettabile di giornalisti e paramedici uccisi, mentre svolgevano il proprio lavoro. Anche sulle ambulanze.
Ho visto scuole, università, ospedali, moschee secolari… rasi al suolo.
Ho visto gente abbeverarsi raccogliendo l’acqua dalle pozzanghere fangose o bevendo l’acqua di mare.
Ho visto camion frigo per gelati pieni di cadaveri.
Ho visto ospedali pediatrici evacuati con la forza da giorni, all’interno di cui i bambini nelle incubatrici erano stati forzatamente lasciati a morire… e a putrefarsi.
Ah, ho visto anche strade invase da cadaveri in putrefazione.
Ho visto scene di comuni cittadini armati, travestiti da esercito, occupare illegalmente i territori e le case di povera gente inerme che stava a farsi i cazzi propri, ma che improvvisamente veniva sparata, uccisa, torturata, picchiata, insultata, presa a sassate, costretta a vivere reclusa in casa e ad accettare che le sue proprietà venissero vandalizzate, distrutte, saccheggiate, espropriate.
Ho visto telegiornali parlare di un ostaggio israeliano di 86 anni, morto durante un raid israeliano in un ospedale di Gaza in cui il vecchio era stato ricoverato per essere assistito. Un servizio (troppo) lungo che ci spiegava chi fosse il vecchio, per informarci che quindi c’era stata una vittima collaterale israeliana, non voluta. Per poi concludere il tutto con un accenno di circa 5 secondi che diceva qualcosa del tipo “nel raid sono morti anche 20 palestinesi, fra cui 7 bambini”. E capisci che c’è qualcosa che non va nella narrazione. Perché il vecchio è una persona. Gli altri sono solo numeri, senza volto, senza storia e senza nome. Che diventano notizia solo perché hanno avuto la fortuna di crepare contestualmente ad un vecchio di 86 anni.

Sto omettendo tante cose di quelle che ho visto... Potrei dire che mi hanno fatto raggelare il sangue i due reportage di Francesca Mannocchi su La7, a Propaganda Live (si trovano in rete, eh…), in cui parlava di Gaza e di quella prigione a cielo aperto denominata Cisgiordania, e in cui erano facilmente intuibili le radici di Hamas…
E che se ognuno di noi avesse vissuto dalla nascita quello che hanno vissuto e stanno vivendo loro, posso con certezza dire che non staremmo nemmeno a porci il problema se sia giusto o meno usare la violenza, come forma di reazione e resistenza.
Semplicemente non avremmo avuto altre opzioni.

Questo è stato il mio Instagram, a cui mi ero finalmente iscritto a settembre per seguire comici, fumettisti e cazzate varie. Un social che per anni ho volutamente ignorato, considerandolo un grosso scatolone di contenuti non-sense o (a mio parere) privi di alcun interesse, luogo di arricchimento economico di persone senza talento, in cui mettere foto di cose da mangiare o dei viaggi fatti o consigli sul come fare cosa.
Ora mi trovo a seguire in buona parte dei ragazzi palestinesi sconosciuti. O meglio, sconosciuti fino a qualche mese fa. Ora uno di loro è seguito da 18 milioni di persone. Ogni giorno apro Instagram sperando che siano ancora vivi, considerando che uno ad uno stanno morendo tutti i loro colleghi e affetti.
E la maggior parte di loro sono ragazzi di 20-25 anni, con una laurea alle spalle, e che avrebbero fatto volentieri altro nella vita rispetto a documentare l’orrore o tentare di superare incolumi la notte.

“Beh, che ne pensi di Instagram?”, mi hanno chiesto.

Finchè non censura foto e video o molto democraticamente blocca profili senza alcuna ragione, direi che è utile, che è l’aggettivo che meno mi sarei immaginato di dare a settembre.
Perché, se non ci fosse stato, non avrei visto nulla di tutto questo. Non saprei cos’è una guerra. O meglio, cos’è un massacro e un genocidio. E ammesso che tu sia arrivato a leggere fino a qui, io potrò solo averti fatto immaginare alcune scene.
Ma fidati… “Immaginare” è una cosa che forse dimenticherai entro 15 minuti da ora. “Vedere” è altra roba, e ti resta appiccicato addosso quel tanto che basta per domandarti cosa cazzo ci sia stato da festeggiare a Natale. Non posso invece neanche lontanamente intuire cosa invece significhi “viverle”, certe cose.

Ora potrò dire che io sapevo, che ho visto, e che non l’ho accettato.
Diversamente da 80 anni fa, nessuno domani o fra altri 80 anni potrà dire “non potevo saperlo”, perché adesso è tutto su un cazzo di telefonino, a disposizione di chiunque, ed è tutta una questione di scelte: scelta di vedere, di ignorare, di capire, di opporsi, di condannare o sostenere.
Ognuno fa la sua, legittimamente, secondo coscienza. Ma domani non potremo essere messi tutti nello stesso calderone di quelli che se ne sono sbattuti il cazzo.
A scuola ci hanno fatto studiare la storia sui libri. Questo è un pezzo di storia che si può guardare in diretta.


A young girl stuck under her house rubble after it was bombed by Israeli airstrikes, Al Nusairat refugee camp, Oct. 31.
Motaz Azaiza
TIME’s Top 100 Photos of 2023

domenica 29 ottobre 2023

Clara e Susanna

Stamattina, mentre ero fuori con i cani per una passeggiata in campagna, ho incrociato una signora di oltre settant'anni con un mazzo di fiori bianchi in mano.
Mentre ero fra gli ulivi, mi sono sentito chiamare:

"Scusi, le posso chiedere un favore? Sa se questa stradina adesso è percorribile? Mi può accompagnare?"

Era un percorso che questa estate era stato completamente invaso dalla vegetazione, che adesso si è seccata. Resta solo qualche rovo...
La signora sembrava dolcissima, e quando mi sono avvicinato a lei per farle strada e le ho chiesto per quale ragione stesse andando letteralmente verso il nulla, in una zona in cui ha senso andare solo se hai un cane o devi raccogliere le olive, lei mi ha risposto:

"Tra poco le faccio vedere".

La guido per circa 50 metri, poi arriviamo in un piccolo slargo fra gli alberi, vicino ad un ulivo che avevo sempre "visto" ma non avevo mai realmente "guardato". Un ulivo avvolto con alcuni nastri, delle piccole decorazioni scolorite dal sole che avvicinandomi ho notato essere dei fiori di tessuto, dei piccoli vasi vuoti alla base. Le chiedo cosa sia successo lì...

"Sono due anni che qui si è suicidata mia figlia. Avevo portato anche dei gerani tempo fa, ma non c'è più nulla... Questi adesso hanno cambiato colore col sole... Ma non riuscivo ad arrivare più qui, perché la strada era completamente chiusa dai cespugli".

A quel punto le chiedo come si chiamasse la figlia, quanti anni avesse. Negli occhi, mentre me ne parlava, aveva tutta la dolcezza del mondo.

"Si chiamava Susanna, aveva 43 anni. Non è riuscita a superare la morte del suo cane..."
"Chissà se c'è ancora qualcosa di lei qui... Chissà dov'è... Ha lasciato un biglietto in cui chiedeva di essere cremata, quindi non ho un posto in cui andare a salutarla, in cui so che lei c'è".
"Anche Susanna amava i cani, come lei... Come si chiamano? Li posso accarezzare? Susanna collaborava anche con un rifugio, come volontaria... Per questo ogni tanto ci vado anche io a dare una mano, se posso. E lei? Ci viene spesso qui, in questa campagna?"

Le dico che capita spesso, che magari ci saranno anche altre occasioni per incontrarci...

"Adesso arriva l'inverno, non so quanto sarà accessibile questa zona per me..."

Le dico che allora ci penserò io a lasciare un fiore a Susanna, ogni volta che passerò. Mi ringrazia con uno sguardo e una voce sussurrata che mi hanno fatto esplodere il cuore, ma ho preferito ricambiare con un semplice sorriso perché in quel momento avrei voluto abbracciarla.
Andando via abbiamo percorso lentamente il sentiero insieme e ha continuato a raccontarmi aneddoti di Susanna, del cane adottato a cui era legatissima, trovato sul ciglio della strada, magrissimo e con la leishmania, con cui ha condiviso 2 anni prima che poi lui morisse. Qualche mese prima che lei si togliesse la vita.
Le dico cosa faccio nella vita, che quindi non posso che rimanere colpito dal gesto della figlia, e le si illuminano gli occhi perché magari posso comprendere ancora di più l'amore che Susanna nutriva per i cani.
Mi ha detto che prima abitavano in quella zona, ma che poi, dopo il lutto, ha preferito trasferirsi con l'altra figlia in un paese vicino. L'altra figlia, così come faceva Susanna fino a poco fa, vive con lei... ha più di 50 anni, odia i bambini come Susanna, ma ama i gatti. Le sta causando vari problemi, ma non ho voluto chiederle quali.
Quando sapevo che di lì a poco ci saremmo separati, le chiedo se potevamo darci del tu, perché è più confidenziale. Perché ormai la conosco da circa 20 minuti e sento che non è più un'estranea per me. Non perché 20 minuti siano un'eternità, ma perché mi aveva regalato un pezzo della sua parte più fragile, quella che alcune persone non ti danno neanche dopo anni di conoscenza. Di nuovo quel sorriso e quello sguardo.

"Certamente, mi chiamo Clara".

Io sono Marco. Ed è stato un piacere infinito conoscerti. Qualche istante dopo arriviamo alla sua auto, mi porge la mano e gliela stringo forte sorridendole e salutandola col cuore in mano.
So che avrei dovuto abbracciarla, ma so pure che se l'avessi fatto non sarei riuscito a tenere dentro le lacrime che fino a quel momento avevo trattenuto per esserle di supporto.

Perché scriverlo qui? Perché un posto come questo è innanzitutto condivisione, non solo di minchiate o tragedie. Perché voglio ricordare nomi, età, espressioni del viso, non voglio che il tempo mi faccia dimenticare questo incontro.
E per raccontare di una anonima persona gracile, che con sé stava portando un macigno, non solo un mazzo di fiori bianchi.

mercoledì 1 aprile 2020

Il mio compagno di stanza

Il mio coinquilino era quella creatura che:

- nei primi 23 mesi di convivenza è stato capace di lavare il cesso ben tre volte (di cui una in occasione della sua laurea) e passare l'aspirapolvere addirittura quattro volte, celandosi dietro il terrore per la «pericolosissima» [cit.] presa elettrica di cui la suddetta era munita. Cosa che non gli ha impedito di lasciare a me l'onere di fare entrambe le cose per vincere la battaglia contro gli acari e l'Escherichia Coli. Respect;
- usava il deodorante spray Borotalco (un gas certamente derivato dal nervino utilizzato dai nazisti alcune decadi fa) per bypassare l'igiene personale e permettergli una sola doccia settimanale (il sabato). Se lo nebulizzava addosso con orgoglio nella nostra stranza in comune, in quantità letali, mentre studiavo;

CAPITOLO 2
- una volta è sceso di casa alle 7:25 per andare a lavoro, anziché alle solite 7:50, perchè «devo uscire dal parcheggio. Se faccio tardi e c'è traffico, non esco più» [cit.]. 25 minuti per uscire da un parcheggio a spina di pesce;
- è in grado di instaurare conversazioni del tipo: 

"Hai comprato lo spazzolino elettrico nuovo?"
- Si
"E quanto l'hai pagato?"
- Una ventina di euro...
"Eh... senti... ci metti il dentifricio sopra?"

No, lo cospargo di merda fumante;
- per fumare una sigaretta ha scelto di scendere (e risalire) 4 piani a piedi a causa del cancello rotto che gli impediva di farlo sul balcone di casa. Lecito, se si ha una dipendenza. Da coglione, se potevi farlo sul terrazzo del palazzo, che distava circa 140 centimetri dalla porta di casa;
- ha impiegato 6 mesi per scegliere il suo primo smartphone e, nel momento in cui lo teneva orgogliosamente tra le mani per la prima volta, ha visitato "ilmeteo.it" per controllare come fosse il tempo a Bari. Dalla nostra cucina con balcone, a Bari;  
- preferiva scansionarsi un migliaio di fogli piuttosto che portarli a fotocopiare, per timore che il suo riservatissimo materiale di ingegneria avanzata finisse nelle mani sbagliate. Era dai tempi del Watergate che non si temeva una fuga di notizie così preziosa;
- dopo aver conseguito una laurea in ingegneria meccanica col massimo dei voti, vedendo una macchia d'acqua per terra sotto la sua scrivania, ha ipotizzato (con tono di voce drammatico) che potesse trattarsi di infiltrazioni dal piano di sotto, piuttosto che una conseguenza delle sue scarpe fradice per la pioggia. Gli avevo suggerito la soluzione, ma evidentemente la mancanza del titolo di ingegnere non mi rendeva attendibile. Il giorno successivo, al rientro in casa, la prima azione è stata controllare se la pozza d'acqua ci fosse ancora;
- dopo la doccia, ha steso il tappeto bagnato fuori, ad asciugarsi. Mentre pioveva;

CAPITOLO 3
- ha acquistato un etto di fesa di tacchino la mattina del 28 gennaio, per poi consumarlo la sera del 6 febbraio. Stranamente non aveva un bell'aspetto, per cui è finito a malincuore nella pattumiera.
Primato infranto poco dopo dal prosciutto crudo patinato di salmonella: acquistato il 3 maggio, ne mangiava con disinvoltura 4 fette il 14 maggio. In fondo stava solo continuando la stagionatura, suppongo;

- faceva bollire l'acqua in una pentola senza coperchio. Quando invocava la fiamma per farla bollire più rapidamente e gli proponevo di metterci il coperchio sopra, mi rispondeva «io non uso questi mezzucci» [cit.];
- è riuscito a mangiarsi 9 uova in 3 giorni per evitare che scadessero; (certo, negli anni a venire ho visto anche gente palestrata mangiare in spiaggia uova sode come fossero patatine, ma loro mi generano soprattutto compassione, mica disprezzo);
- (no, bugia. Anche disprezzo.);
- acquistava tonno cancerogeno confezionato in Ucraina, caffè al retrogusto di camino e le conserve sott'olio alla tossina botulinica dell'Eurospin, mostrandosi tuttavia schizzinoso di fronte al sapore della mia acqua naturale insapore, incolore e inodore dello stesso discount;
- accese il forno alle 20:08, per infornare 6 bastoncini di merluzzo alle 21:14, con lo scopo di «far raggiungere la temperatura» [cit.]... di fusione del tungsteno, ipotizzai io; 
- dopo avermi rotto un poggiamestolo, è riuscito a rimpiazzarlo con un elemento di design moderno dalle fattezze falliche:

 

- ha usato una ciotola in alluminio cuki, per definizione usa-e-getta, per circa 45 mesi.


- mentre scrivevo queste stronzate, nel proprio armadio aveva solo indumenti di colore rosso, verde, arancione, celeste e giallo;

Il vestito della domenica

- il giorno 17 maggio 2015 ha portato a casa un uovo di Pasqua (trascorsa da circa 2 mesi). Quell'uovo sostituì una colomba pasquale che giaceva sul pavimento fino a pochi mesi prima: un avanzo di Pasqua anche quello, ma dell'anno 2014. Quella colomba, nel maggio 2014, aveva sostituito a sua volta un panettone di Natale 2013 che aveva occupato la stessa mattonella per circa un semestre. Probabilmente credeva che quella data sul retro della confezione fosse la frollatura necessaria;
- dormiva con la maglia del pigiama dentro i pantaloni, i pantaloni dentro i calzini e la canottiera dentro le mutande;
- ristagnava nella propria anidride carbonica, non avvertendo nessuna necessità di permettere all'ossigeno esterno di varcare le mura casalinghe, al fine di migliorare la ventilazione polmonare e l'ossigenazione del sistema nervoso centrale. Cosa che spiegherebbe buona parte dei problemi elencati in questo blog; 
- indossava scarpe antinfortunistiche dalle ore 7:30 alle ore 24, di cui solo la metà del tempo per finalità lavorative; 
- «la prima cosa che abbiamo fatto quando siamo arrivati a Bologna è stato andare alla Feltrinelli a leggere qualche guida per sapere dove andare a mangiare» [cit.]. Attenzione al predicato verbale: leggere, non comprare. Oltre 2.500 euro al mese guadagnati in due, tra lui e la piattola zita medico;
- infatti era talmente taccagno che gli amici, ad un compleanno, gli regalarono questo best seller motivazionale che ad oggi vanta 7 copie vendute, esclusi i parenti dello scrittore;


 

- stendeva una manciata di fette di prosciutto cotto su un letto di sugo avanzato sul fondo del piatto di pasta, ed iniziava a tagliuzzarle creando una poltiglia di prosciutto cotto e sugo che degustava con fierezza armato di cucchiaio. Canavacciuolo, scansati;

CAPITOLO 4
- fisiologicamente, per sua ammissione, piscia non più di 3 volte al giorno. E se accade il contrario, «è colpa dell'umidità atmosferica» [cit.];
- «se si mangia troppo asciutto, vengono i calcoli renali» [cit.];
- «Non mi sono mai piaciuti i Pink Floyd... Troppi sintetizzatori che non si sa dove vanno.» [cit.];
- considerava «perle ai porci» [cit.] un libro di John Peter Sloan (comico che ha partecipato a diverse puntate di Zelig, ma ai suoi occhi un rinomato e pluripremiato premio Pulitzer/Strega/Golden Globe/Zecchino d'Oro), che io colpevolmente ignoravo pur avendolo in libreria, nascosto da vari Kafka, Dostoevskij, Freud, Nietzsche e Tolkien (di mio fratello), che invece erano ignorati da lui;

 
(Con i più sinceri complimenti per la facciadimmerda)

CAPITOLO 5 
"Onora il padre e la madre"
- ha un padre che «sniffava sali di lisina» [cit.]. O almeno è quello che gli ha fatto credere da piccolo...
- chiama la madre con l'appellativo di "mamì". Chiedo scusa se ho appena causato la necrosi ovarica istantanea nelle donne in età fertile;
- ha regalato un tom-tom a mamì (maestra di religione, timorata di dio) perchè costei, in una pericolosissima notte (ore 21 all'incirca, pare), si perse con l'auto nel quartiere CEP, a Foggia, e non riusciva ad uscirne perchè aveva paura a chiedere informazioni agli sconosciuti;
- ha un padre che, per scongiurare furti in casa, «fa le finte» [cit.]: ossia scende di casa, fa il giro del palazzo e rientra fingendo di aver dimenticato qualcosa. Cioè, roba che magari lo vedi per strada e pensi "peccato, l'alzheimer è una brutta bestia", e invece no, è solo un coglione;

- rientrava a casa da lavoro alle 18:30/19, mangiava uno yogurt, fumava una sigaretta, osservava il suo giaciglio notturno sussurrando «quasi quasi questa volta riesco a rifarmi il letto...» [cit.], si sedeva davanti al pc, video-chattava per circa 2 ore con il gattoaggrappatoaicoglioni la fidanzata, fumava una sigaretta, video-chattava 30 minuti con il toporagnofacciadimerda la fidanzata, preparava la cena, video-chattava il tempo rimanente fino alle ore 23:55, fumava una sigaretta, si svestiva (ancora non lo aveva fatto), si metteva nel letto ancora "sfatto". Dopo circa 6 ore e 35 minuti suonavano due sveglie distanziate pochi minuti e pochi metri l'una dall'altra, che sancivano l'inizio di una nuova giornata ciclica;
- per circa due anni, almeno 5 volte al giorno, è uscito a fumare sul balcone dimenticandosi (puntualmente) la finestra del cesso aperta, cosa che (puntualmente) lo obbligava a rientrare per chiuderla ed evitare di infestare la casa di fumo.
2 (anni) x 365 (giorni) x 5 (sigarette giornaliere) = 3650 (possibilità fallite).
Però gli ingegneri-meccanici-110&lode hanno anche tante qualità;
- quando si preparava il caffè e ne beveva metà caffettiera, travasava la metà residua in un bicchierino di plastica, così poteva berlo successivamente... ma sempre e solo dopo averlo ri-travasato in una tazzina per caffè;
- rientrava a Bari la domenica per fare un colloquio di lavoro il martedì, perchè doveva trascorrere il lunedì mattina a radersi la barba e lavarsi; 
- a proposito, nel farsi la barba (circa 24 peli), puliva il rasoio martellandolo ripetutamente e nervosamente contro il lavandino. E, allo stesso tempo, consumando all'incirca il fabbisogno idrico annuo dell'Africa subsahariana. La testimonianza:



- invitò la propria piattola ammorba maroni fidanzata a trascorrere il weekend a casa pur essendo sprovvisto di lenzuola proprie, finendo per accomodarsi a dormire congiuntamente sul mio divano letto matrimoniale, optando di copulare sulle mie, di lenzuola; 
- aveva «un sacco di cose da fare...» [cit.], tra cui si annoveravano la visione di cartoni animati in inglese sottotitolati, corsi interattivi in inglese e tedesco, ricerca online di lavori retribuiti dai 1800 euro in su, dormire, masterizzare dvd, fare il maniaco su facebook, video-chattare con il ditoinculo la fidanzata. Era complicato ritagliarsi il tempo per le pulizie di casa, lo ammetto;
- durante le video-chat con quellalerciadelcazzo la fidanzata era solito trascorrere un decimo del tempo cantando; 

- trascorreva i restanti nove decimi a fare ragionamenti ipotetici su situazioni lavorative ipotetiche che potevano verificarsi nell'ipotesi in cui... O a progettare, per sè e la sua famiglia un futuro all'estero in paesi quali Svizzera, Norvegia, Canada, Singapore, Usa, Nuova Zelanda, Australia, Germania, Est-Europa. Il tutto elaborando, in tono incredibilmente serio, figure retoriche di un certo calibro del tipo:
 
«
Se tu una cosa la vedi verde, ed io ti dico che è blu... Se io ti dico "guarda che quella cosa è blu!", ma tu mi ripeti "no vedi che è verde"
»
[cit.]

oppure  

«Ma io stavolta nella ghigliottina non ci vado con la testa e i polsi!... Ci vado con la testa e basta!» [cit.];

 
(si ringrazia Zero Calcare per riuscire a convertire la mia frequente misantropia in fumetto)

- «Oh, vado a fare uno stage per la Toro Rosso a Faenza! Non so neanche dove sia... Ma pare che stiano cercando proprio me! Alloggio e rimborso spese inclusi». E quando partivano le felicitazioni, le prime domande su quando dovesse iniziare e come l'avessero contattato per comunicarglielo, rispondeva «No, in realtà devo ancora mandare il curriculum. Ho letto un annuncio in facoltà» [cit.];
«...tanto, ufficiosamente il cugino di G***** è entrato in Lamborghini, il che significa che ci posso entrare pure io...» [cit.]. G***** è (o era) la piattola sua fidanzata, invece il cugino valuterà i curricula per il personale da assumere. L'italica meritocrazia, prima di tutto. Ad ogni modo... "ufficiosamente"="vado a fare lo stage a Faenza". Io lo lasciai qualche anno fa, giustamente sfruttato e sottopagato fra Monopoli e Bari;

EPILOGO
Il mio compagno di stanza si autodefinisce esperto di musica, esperto di cucina, esperto di tutto ciò che abbia un motore, esperto di libri. 


(Ministri - Il mio compagno di stanza)
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Regia di
Quentin Tarantino


Sceneggiatura e ostentazione di saggezza
Diego Fusaro

sabato 17 ottobre 2015

Storia triste di un uomo triste



C’era una volta un ragazzo che per comodità (e per motivi di privacy) chiamerò “belli capelli”.

Belli capelli lo conobbi qualche anno fa durante una partita di pallavolo. Pensai subito che si stava prendendo troppo sul serio, nonostante mostrasse effettivamente spiccate qualità nel gioco a dispetto di un abbigliamento un po’, come dire, da coglione.
Era un supereroe con una magliettina nera e un pantaloncino argentato attillatissimo, che gli arrivava a metà coscia e gli delineava perfettamente l’armonia degli zebedei.
Belli capelli deve il suo nome alla chioma, sempre sistemata in modo impeccabile mediante l’uso si svariati etti di gel e con la detonazione di petardi avanzati dal Capodanno precedente; taglio di capelli modaiolo, barba sistemata quotidianamente con un precisione raccapricciante.
Belli capelli in fondo è un bel ragazzo, con un bel fisico. Usa una quantità tale di profumo da diventare il primo essere umano infiammabile o suscettibile di autocombustione.
Dicevo, la pallavolo vissuta come manco ci fosse in ballo la dignità dell’uomo: ci teneva parecchio. Tanto che, alla finale del torneo, la madre e il padre vennero al palazzetto muniti di videocamera per immortalare le gesta del figlio.

La squadra di Belli capelli perse la partita contro ogni pronostico.
Che disfatta.
Io ero certo che si sarebbe tolto la vita il giorno seguente.


E invece no.

Nei mesi successivi mi è capitato di ritrovarmelo durante alcune lezioni all’università. Con orgoglio sfoggiava la sua penna con registratore incorporato.
Figata. Se non fosse che io quel giorno avessi una sorta di tubercolosi e ho trascorso la metà del tempo a scatarrarvici sopra.
Deve essere stato interessante riascoltare quella lezione.
Ma soprattutto la domanda è: come cazzo si ascolta una lezione da una penna? Si inserisce nel cranio attraverso l’orecchio? O più comodamente si tenta di sfruttare “l’effetto eco” lungo gli intestini, previo inserimento nel culo?


Belli capelli è coraggioso e sicuro di sé: non c’è ragazza (pseudo)carina della facoltà che lui non abbia approcciato, che non abbia ricevuto la sua richiesta di amicizia su facebook nelle 12 ore successive al suo approccio visivo, o che non abbia un “mi piace” ad una propria foto in cui si intraveda una discreta quota di tessuto mammario.

Belli capelli si diverte: l’ho visto ballare. Ho avuto questo onore. Ha le tipiche movenze di chi si diverte, quelle del “popolo della notte”, di chi calca piste da ballo truzze dalla pubertà: braccia larghe con ascella pezzata, avambracci sollevati fino a formare un angolo di 70-90° a livello dell’articolazione del gomito, articolazione del collo ondeggiante lateralmente con una fluidità che uno come me si sogna soltanto e, dulcis in fundo, culo sporgente e a papera.
Uno spettacolo per gli occhi.


Belli capelli è pieno di amici.
Anzi no. Ogni volta che lo vedo in un contesto, qualsiasi esso sia, mi chiedo
“ma ‘sto coglione che cazzo sta a fare?”
o “ma ‘sto coglione chi l’ha invitato?”
oppure “ma ‘sto coglione a chi è amico?”.
Nessuno, ad oggi, è riuscito a darmi una risposta certa.

La prova della mia lungimiranza c’è stata ieri, in cui ho assistito ad uno degli spettacoli più ingenuamente tristi della mia vita.
Seduta di laurea. Io ero uno degli invitati.
Belli capelli arriva in facoltà e mi raggiunge su una panchina per salutarmi. 


“Io oggi volevo venire alle lauree... Ma nessuno mi ha invitato” 

Ma lui non era triste. Era in quella fase ingenua in cui con lo sguardo cercava qualcuno che si stesse divertendo o che fosse felice, per poter suggere la sua stessa felicità e voglia di divertirsi.
In quel momento mi stavo sganasciando internamente dalle risate (o forse era una crisi asmatica dovuta al profumo che quell'uomo emanava), ma tornato a casa e scrivendo queste cazzate mi è calata una tristezza immane.


Ma poichè sono un fottutissimo stronzo senza cuore nei confronti di buona parte delle creature presenti su questo pianeta, soprattutto di quelle di cui non ne capisco la ragion d'essere, allora stigrancazzi.



giovedì 31 ottobre 2013

I fissati

I fissati con gli animali
Umanoidi il larga parte richiusi nelle Università di Medicina Veterinaria dell'intero globo terrestre.
La restante percentuale è riuscita a scampare a questo triste ed impietoso destino venendo esclusa nei test di ammissione della suddetta facoltà.
Si riconoscono nei più comuni social network perchè non hanno un volto umano. Presentano immagini profilo/copertina del proprio pet ripreso in tutte le angolazioni: una sorta di visione panoramica a 360° del proprio amico peloso, dalla punta del naso al buco del culo.
(Nella maggior parte dei casi, bisogna ammetterlo, il suddetto buco del culo presenta fattezze ben più armoniche dell'umano che dà un nome ed un cognome a quell'account.)
Costoro sono soliti creare anche degli account supplementari per i propri animali, espediente che permette loro di ampliare numericamente le testimonianze fotografiche del quadrupede e possibilmente dargli anche una voce.
Si suppone che siano individui con una fervida immaginazione, che vivono in una realtà parallela in cui, in stile Disney, uomini, cani, gatti, scoiattoli, usignoli, topi, locuste, scarabei stercorari e acari parlano tutti la stessa lingua.
Sono soliti smerciare, a fini adottivi, una stragrande varietà di esseri viventi a cui inevitabilmente viene data voce nell'annuncio stesso, al fine di enfatizzare la situazione: "Ciao a tutti! Io sono Staminchia. Cerco una casa e tanto amore. Adottatemi! Giuro che non vi cago in casa".
Si distinguono in due categorie:
  • gli specie-specifici : deliranti creature che manifestano il proprio morboso attaccamento agli amici pelosi di una singola specie. Più frequentemente il gatto.
    Costui, il gatto, è ignaro di avere infiniti book fotografici in cui è immortalato nella sua attività prediletta: non fare un cazzo.
    Quindi questi adrenalinici album contengono ritratti di felini sdraiati in ogni dove, mentre guardano la fotocamera, mentre guardano la fotocamera, mentre NON guardano la fotocamera, mentre guardano la fotoc... Foto che l'esponente di questa categoria di umanoidi commenta stupito/a con esclamazioni del tipo "che pazza!", "che freddo!", "che caldo!", "che fame!".
    Che cazzo.
  • gli zoofili : sono meno schizzinosi ed applicano il suddetto modus operandi a tutte le creature viventi ed estinte del Pianeta Terra. Adorano addirittura il coniglio, che comunemente è più apprezzato "alla cacciatora" o al forno con un contorno di patate.
I fissati con gli animali sono acerrimi nemici dei fissati con la caccia, che ho imparato a conoscere di persona, non tramite social network.


I fissati con la caccia

Vivono in mimetica. Non generano una progenie fecondando la propria consorte, ma clonano se stessi oppure si riproducono per partenogenesi.
Ne deriverà un moccioso in mimetica.
Gli argomenti di cui parlare con costoro sono molteplici e variegati: i tordi, le cartucce, il fucile, le cartucce, i tordi...
Si contraddistinguono per una dialettica forbita, di cui di seguito potete ascoltare alcuni endecasillabi in rima incrociata, alternati a suoni onomatopeici degni nei migliori fumettisti d'oltreoceano:




I fissati con la perpetuazione della specie

Solitamente trattasi di gente, di ogni sesso ed età, che perde la ragione di fronte al proprio status di madre/padre/nonna/zio/zia.
Ci si accorge del graduale cambiamento quando il nascituro è ancora un feto: improvvisamente la propria "home" viene invasa da immagini di Anne Geddes o da qualsivoglia fotografia ritragga i bambini più belli della terra immortalati nel loro dolce far nulla.

Quello è il momento giusto per togliere la spunta al "Mostra nella sezione Notizie". In maniera diplomatica scegliete di ignorare per sempre la vita di quell'abbozzo di essere umano e di chi lo metterà al mondo.
Se strenuamente decidete di tollerare questa escalation di poppanti, potrete assistere ad una stereotipata sequenza di eventi che vi condurrà al desiderio di estirparvi le gonadi e rendervi eunuchi, impossibilitati a perpetuare la vostra dinastia, perchè "no, cazzo, se divento così uccidimi".
Costoro (non) si riconoscono su facebook perchè improvvisamente le loro immagini profilo/copertina diventano una cronistoria giornaliera del neonato.
Bisogna ammettere che l'uomo è uno dei mammiferi terrestri più tardivi: ciò vuol dire che se un cane a 6 mesi o un anno è già quasi adulto, un bambino della stessa età è sostanzialmente una forma di vita che si limita a mangiare, cacare, piangere e fisicamente continua a rimanere un bambino.

Questa premessa è fondamentale per comprendere che la cronistoria giornaliera della vita di un essere vivente (che già normalmente suscita un interesse discutibile) assume ancor meno importanza se quell'essere vivente è un umano, e soprattutto se quell'essere umano è un neonato.
Per cui si assiste ad una rassegna di foto in cui il moccioso ride, mangia, dorme, guarda qualcosa di indefinito, è travestito da adulto. Il tutto in un loop eterno, fino a che il moccioso non avrà facoltà di parola e potrà dire "hai rotto i coglioni!".
Ma essendo facebook una realtà giovane, quei mocciosi sono ancora troppo piccoli e, allo stato attuale, neanche sanno parlare.
Genitori, nonni, zii, preparatevi ad essere sfanculati in un futuro non troppo lontano. 


I fissati coi motori

Colpiti da gravi forme di eiaculazione precoce alla vista di qualunque oggetto su due o quattro ruote.
Protagonisti di letture impegnate (Auto tecnica/ Moto Tecnica/ Al Volante/ In sella) da sfogliare rigorosamente sulla tazza del cesso.
Siffatte creature, frequentemente esponenti delle Facoltà di Ingegneria Meccanica, quando entrano nel merito di dissertazioni di cui si reputano esperti, si esprimono in forma criptata con indecifrabili codici alfanumerici, utilizzando parole chiave che se pronunciate nel giusto ordine sono in grado di determinare la scomposizione molecolare dell'ascoltatore o di rievocare gli spiriti dei defunti. Ma più frequentemente sono causa di una semplice deflagrazione scrotale nell'interlocutore.
Di fronte alla cronaca di tragedie immani al telegiornale, focalizzano l'attenzione sull'auto del politicante di turno arrivato per rendere omaggio alle vittime.
Arrestano masticazione, battito cardiaco e respiro, oltre a qualunque attività in via di svolgimento, alla percezione del rombo della marmitta di qualsivoglia motore: anche quella truccata del motorino del pregiudicato del quartiere, di cui sono comunque in grado di elencarne il modello, l'anno di uscita sul mercato, numero di cavalli e quotazione aggiornata su Quattroruote.
Conoscono a memoria i palinsesti di canali come Nuvolari, DMAX e Focus, creando un'intricata playlist di gare automobilistiche o motociclistiche,  approfondimenti su come vengono fabbricati i tasti dei telecomandi o i tappi delle penne o altre inutilità, e qualsivoglia programma televisivo che parla di auto e motori, come "Car Crazy" in onda su Nuvolari: un programma in cui un settantenne americano, doppiato da un ragazzino delle scuole medie, manifesta pubblicamente la sua intenzione di inserire il pisello nel tubo di scappamento delle auto che descrive.


Le fissate con Bukowski

Appartenenti alla più ampia categoria de "I fissati con le citazioni", a cui Banksy a New York ha dedicato un pensiero. Questi lasciano il cervello in stand-by delegando a filosofi, scrittori, poeti, cantanti e politici la possibilità di esprimere un qualsivoglia concetto, dal più profondo al più banale.
Vivono in una sorta di torpore intellettivo e creativo che impedisce loro di generare pensieri in autonomia.
All'interno di questa macro-categoria, si fanno largo "Le fissate con Bukowsky".
Depositarie delle nozioni fondamentali dello stare al mondo.

Solitamente, infatti, trattasi di creature di sesso femminile che nella propria biblioteca personale vantano al massimo il ricettario di Antonella Clerici. Costoro scorgono in Bukowski la possibilità di rivalutarsi ed essere rivalutate quali grandi intenditrici della letteratura moderna.
Il lascivo e noncurante stile di vita del suddetto è, inoltre, a volte utilizzato per dare una nobile motivazione alla propria attitudine ad assaporare molteplici uccelli.
Benefattrici.