mercoledì 10 ottobre 2012

Ode alla zanzara

Tu, leggiadra e silenziosa,
ti libravi nell'aere di una oscura notte d'autunno.
Spaesata. E affamata.
Mi scrutavi nell'ombra della mia camera.
Studiavi le mie movenze
e come in una danza d'amore
prendevi confidenza col mio corpo.
Tu, ci posavi le tue sottili fattezze senza indugio,
accanendoti con bramosia sulle succulente caviglie.
Suggevi il prezioso nettare scarlatto dalle mie vene
privandomi della mia stessa vita
e condannandomi ad un'imperitura esistenza
in cui mai più avrei potuto assopirmi.
Ma l'ingordigia, si sa, è un peccato assai grave.
Il Sommo Poeta lo sapeva e ne cantava gli eccessi.
Sei caduta in fallo.
Lo sangue,

quello stesso sangue di cui tu mi privasti,
ti impedì di fluttuare ancora una volta,
con quella grazia silente di sempre.
Pesante, satolla, cercasti rifugio sotto il mio giaciglio.
Senza indugio ti posasti sul freddo pavimento,
convinta di aver trovato notturno riparo.
Ma con uguale ostinazione io ti cercai,
rischiarando le tenebre con una torcia.
E ti trovai.
Ora a vibrare leggiadra nell'aere era la mia mano severa,
che con impeto si posava sul tuo esile corpo
facendolo aderire al suolo.
Scoccavano le 2:26 quando la vita ti venne sottratta.
Estirpata.
Ardua impresa fu quella di trovare le parole
per rendere omaggio alle tue, ormai docili, spoglie.
Solamente un
vafammok a mamm't, 
crepa.


(i residui della suddetta)

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